Trieste si appresta a vivere da giovedì 5 luglio alcuni giorni molto importanti dal punto di vista economico e produttivo.
Per la prima volta, infatti, ospiterà il Congresso nazionale Assoenologi, l’organizzazione che riunisce i tecnici che si occupano del Vigneto Italia, Paese leader nella produzione di vino a livello mondiale.
Il presidente Rizzi con il suo predecessore Pietro Pittaro.
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Fotoarchivio Claudio Fabbro
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Mentre sul dettaglio dei lavori congressuali – che peraltro prevedono anche la presenza del nuovo Ministro dell’ Agricoltura Gian Marco Centinaio nella cerimonia conclusiva di sabato prossimo – avremo occasione di ritornare nei prossimi giorni, oggi abbiamo preferito scattare una “fotografia” sul Vigneto Friuli Venezia Giulia che ha l’onore di ospitare il Congresso, riservandone in particolare al Carso – terra difficile, ma di grandi vini – il privilegio attraverso Trieste che ne è il suo punto di riferimento.
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Il presidente nazionale Cotarella durante un recente sopralluogo
a Trieste proprio per il Congresso (alla sua sinistra Rizzi ed all’estrema destra Fabbro)
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Fotoarchivio Claudio Fabbro
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E lo abbiamo fatto ponendo al presidente Rizzi queste dieci domande che fanno il punto non solo sulla funzione dell’enologo nella vitivinicoltura di oggi, e quindi sull’importanza dell’evento congressuale, ma anche sullo stato
di salute e sulle prospettive che ha davanti questo affascinante settore proprio a livello Fvg, dove svolge anche una funzione-chiave quale immagine complessiva di qualità e di traino, assieme a tutto il pianeta agroalimentare, del movimento turistico che proprio in Trieste ha un fulcro imprescindibile.
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1 – Innanzitutto, presidente Rizzi, perché, dopo tanti anni, il ritorno del Congresso Nazionale Assoenologi in Friuli Venezia Giulia?
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“Il Friuli Venezia Giulia ha ospitato solo due Congressi Nazionali di Assoenologi. Il primo a Udine, nel 1974 e il secondo a Grado nel 1985.
Questi Congressi si sono tenuti durante la Presidenza di Piero Pittaro in anni sicuramente non facili per la vitivinicoltura nazionale, basti pensare che nel 1985 scoppiò, in Italia, lo scandalo del metanolo.
Da quell’ultimo Congresso sono trascorsi 33 anni durante i quali la vitivinicoltura, in regione, si è totalmente rinnovata e oggi ci sono le condizioni tecniche per potere sostenere una così complessa macchina organizzativa. Inoltre, il 2018 è anche il centenario che decretò la fine della Grande Guerra che, nella nostra regione, oltre ai tantissimi drammi umani, lasciò un’enorme devastazione del territorio urbano e agricolo, con la quasi scomparsa della viticoltura”.
2 – E perché proprio a Trieste?
“La scelta è caduta sulla città di Trieste per alcuni motivi, uno dei quali è l’alta ricettività turistica, indispensabile per ospitare gli oltre 700 congressisti. Inoltre, Trieste, oltre ad essere il Capoluogo di Regione, è il crocevia della
Mitteleuropa, città dove da secoli convivono la cultura Italiana, Giuliana, Friulana, Slava e Tedesca.
Non dobbiamo dimenticare che oggi Trieste si trova al centro dell’Europa turistica e commerciale”.
3 – Qual è il ruolo oggi, alla luce di una tecnica molto evoluta, la funzione dell’enologo a favore dei nostri vitivinicoltori?
“In Friuli Venezia Giulia la viticoltura e l’enologia hanno avuto, fin dall’antichità, un ruolo importante nel tessuto sociale.
Grazie ad un ambiente particolarmente favorevole alla coltivazione della vite e alla passione dei contadini friulani, la fama della viticoltura locale nei secoli si è espansa e diffusa non solo in Italia, ma anche all’estero.
Negli anni Sessanta il comparto agricolo friulano era composto principalmente da piccole aziende a conduzione familiare dove, molto spesso, la zootecnia diveniva l’attività predominante.
Oggi, lo scenario agricolo si è totalmente rivoluzionato, la zootecnia è quasi del tutto scomparsa e le produzioni specializzate hanno soppiantato la vecchia agricoltura fatta di mezzadria e coltivazioni promiscue.
In questo nuovo concetto di agricoltura, la viticoltura è divenuta altamente specializzata e le piccole aziende agricole, nel piano di una inevitabile ristrutturazione e cambio generazionale, si sono associate alla Cooperazione oppure rafforzate attraverso nuove acquisizioni. Un ruolo fondamentale, per lo sviluppo vitivinicolo in Friuli Venezia Giulia, dal dopoguerra ad oggi, è da attribuirsi soprattutto alla figura professionale dell’allora Enotecnico, oggi Enologo. Dapprima con i tecnici formati alla Scuola di Conegliano a cui seguirono, alla fine degli anni Ottanta, quelli dell’Istituto Agrario di Cividale e dell’Università di Udine.
Anche la nascita, nel 1974, della Sezione Assoenologi Friuli Venezia Giulia (Organizzazione nazionale di categoria dei tecnici vitivinicoli) contribuì notevolmente ad incrementare quella crescita qualitativa dei vini prodotti in
regione e che oggi ci vengono riconosciuti dai consumatori di tutto il mondo.
Oggi l’enologo sta rivestendo un ruolo sempre più determinante nel panorama vitivinicolo regionale in quanto, oltre all’aspetto tecnico, indispensabile per produrre vini di qualità, si occupa sempre più spesso della comunicazione
aziendale”.
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4 – Quanti sono i tecnici impegnati nel settore in Fvg?
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“Grazie alle due scuole di formazione enologica, presenti in Friuli Venezia Giulia, oggi abbiamo oltre 300 enologi che sono impiegati nelle aziende vitivinicole.
Dobbiamo però evidenziare che, molti di questi enologi, oggi sono anche proprietari dell’azienda. Anche questo è un aspetto nuovo, rispetto a parecchi anni fa dove, gran parte dei tecnici, rivestivano il ruolo di dipendenti all’interno delle aziende”.
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5 – Ci sono tanti giovani che scelgono questa professione?
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“Alcuni giovani, se non direttamente coinvolti nella proprietà dell’azienda, si avvicinano a questa professione sia per il fascino che sa trasmettere il mondo del vino sia per il legame sempre più ricercato dell’ambiente rurale, che viene visto come un’“Isola felice” nel panorama professionale”.
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6 – Quali vini sono più in buona salute?
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“In questi ultimi anni il nostro è un mercato che ha subito forti evoluzioni grazie, soprattutto, alla richiesta di un consumatore sempre più esigente e informato.
Il Friuli Venezia Giulia, a differenza del resto dell’Italia enologica, ha un forte sbilanciamento nella produzione dei vini definiti “Internazionali”. Infatti oggi, il 50% della produzione è formato da Pinot grigio e Prosecco, a seguire
Merlot, Sauvignon, Ribolla gialla, Friulano, Malvasia e tante altre varietà.
Quindi, va da se che le varietà più richieste siano le più coltivate.
In ogni caso, noi abbiamo anche la fortuna di avere un territorio ricco di diversità produttive che sfociano in
piccole eccellenze enologiche regalando, al Friuli Venezia Giulia, un’ottima visibilità commerciale”.
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7 – E la questione Prosecco?
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Non si corre il rischio che si tratti di una moda passeggera?“Il Prosecco, da quando ha raggiunto la Doc anche nella nostra regione (non ci addentriamo se le modalità, del riconoscimento della denominazione, siano state o meno utilizzate al meglio), è stato un vero toccasana per
l’economia agricola locale. Dobbiamo ricordarci che, in quel periodo storico, avevamo appena registrato il fallimento della zootecnia e la perdita del nome Tocai.
Quindi, l’arrivo del Prosecco, ha rivitalizzato soprattutto le aziende di pianura dando loro una redditività fino ad allora inaspettata.
Da allora sono passati una decina d’anni dove, la crescita del numero di bottiglie è sempre stata in
incremento. In ogni caso, il Prosecco ha ottenuto un successo mondiale grazie alla sua storia (Conegliano e Valdobbiadene), al vasto territorio, ai milioni di bottiglie che hanno invaso i mercati, alla possibilità di trasmettere
un nome unico e, non da ultimo, per la sua facile bevibilità.
Non dobbiamo dimenticarci che le leggi di mercato sono severe e riuscire a bilanciare la domanda con l’offerta sarà sicuramente vincente per il futuro evitando, in questo modo, che il Prosecco si trasformi in una moda passeggera soprattutto a causa di una incontrollata produzione”.
8 – E sul Pinot grigio e sulla Ribolla gialla (un’ autentica riscoperta anche spumantizzata) qual è la sua visione?
“Come evidenziato poc’anzi, il Pinot grigio è il vitigno più coltivato in regione e, quindi, anche l’essere rientrati all’interno della nuova Doc Interregionale (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Provincia di Trento) è stata
sicuramente una necessità, sia per regolamentare questa varietà che per rivalutare le storiche zone Doc.
Infatti, l’utilizzo della nuova denominazione, Doc. Delle Venezie, è solo una scelta commerciale che va a sostituire tutte le Igt. (Indicazione geografica tipica) che prima venivano utilizzate sul Pinot grigio.
Quindi, un sicuro valore aggiunto, in fatto di tracciabilità, per il consumatore.
Invece, per quanto riguarda la Ribolla gialla, a mio avviso, se ne parla troppo e spesso senza cognizione di causa.
La Ribolla potrebbe avere delle ottime opportunità commerciali ma, per fare questo, si devono lasciare da parte i tanti campanilismi e le “ataviche” divisioni territoriali.
Purtroppo, se continuiamo a perdere tempo e non ci accordiamo su una linea comune, rischiamo che la Ribolla gialla, grazie al discreto successo che sta ottenendo nella versione spumantizzata, venga superata dalle interessanti proposte che anche le altre Regioni italiane stanno facendo”.
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9 – Da poco è operativa la Doc Friuli. Funziona bene?
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“La Doc Friuli, purtroppo, è stata in embrione per quasi trent’anni, un tempo molto lungo e, nel frattempo, molte cose sono cambiate nel settore vitivinicolo nostrano. Comunque, è ancora troppo presto per capire la reale potenzialità di questa nuova denominazione che ha però due punti di forza, l’ampiezza del territorio coinvolto e il nome della Regione di appartenenza: Friuli o Friuli Venezia Giulia”.
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10 – Anche alla luce di come va l’export, cosa segna il “barometro” del Vigneto Fvg?
Che prospettive lascia intravvedere?
“L’export, nei primi mesi dell’anno ha fatto registrare un incremento significativo che, a fine 2018, dovrebbe attestarsi ben sopra i 100 milioni di euro. È anche vero che i dati delle esportazioni, del Friuli Venezia Giulia, sono ancora molto lontani da quanto stanno facendo altre regioni italiane.
A guidare, il mercato dell’export, è ancora il Prosecco, seguito dal Pinot grigio e dalle altre varietà minori.
Per concludere dobbiamo ricordare che la nostra vitivinicoltura ha delle ottime prospettive legate soprattutto alla qualità dei vini e alla bellezza del territorio che, per essere veicolato, deve essere inglobato all’interno di un unico messaggio promozionale”.
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Ecco, dunque, delineato un rapido ritratto, con problemi e prospettive, della vitivinicoltura Made in Fvg.
E ora sarà interessante ascoltare cosa emergerà dal Congresso nazionale Assoenologi, luogo privilegiato per approfondire tutti gli aspetti del Pianeta Vino.
Già da giovedì prossimo, quando alle 18, al Teatro Verdi, ci sarà la cerimonia di apertura.
In copertina, Rodolfo Rizzi col presidente nazionale Riccardo Cotarella
(Fotoarchivio Claudio Fabbro)
a seguire :
Vigneti Doc Colli orientali del Friuli a Buttrio.
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Vigneti Doc Collio ed il Castello di Trussio a Dolegna.
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Vigneti Doc Aquileia nei pressi della città romana.
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Vigneti Doc Carso: sullo sfondo il mare Adriatico.