di Giuseppe Longo

Era una mattina di settembre di vent’anni fa. Mi trovavo alle Terme marine di Grado e, pazientemente in fila, aspettavo il mio turno, quando arrivò trafelata e visibilmente commossa una signora “graisana” sulla cinquantina.   Portava una notizia molto triste: “E’ morto il Monsignor”. Ancora nessuno dei presenti sapeva della scomparsa del parroco, anche se più di qualcuno aveva sentito che due giorni prima don Silvano Fain era stato colto da un grave malore in canonica che aveva richiesto l’immediato intervento dei soccorsi. Ma, nonostante le cure intense, il sacerdote non si era più ripreso, tanto da spegnersi il 19 settembre all’ospedale di Trieste: aveva 77 anni.   Un decesso pressoché repentino accolto con vero dolore perché l’anziano prelato era amato da tutti, dai gradesi ma anche dai turisti che frequentavano la basilica di San’Eufemia affollando le messe domenicali, tanto che al termine diversi di loro si fermavano volentieri a scambiare due parole con lui.

E saranno sicuramente tanti anche coloro che vorranno  partecipare proprio questa sera, mercoledì, alla messa di suffragio che il suo successore, monsignor Armando Zorzin, oggi vicario generale dell’Arcidiocesi di Gorizia, celebrerà assieme all’attuale arciprete, Michele Centomo, alle sei e mezza. In quell’antichissima chiesa patriarcale che vide per oltre 41 anni come luminosa guida proprio Silvano  Fain.
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La basilica di Sant’Eufemia che vide monsignor Silvano Fain luminosa guida per oltre 41 anni; sotto, l’annuncio della odierna celebrazione nel suo ricordo.

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Infatti, con un lungo corteo di pescherecci pavesati a festa, don Silvano giunse nell’isola il 28 aprile 1957.   Bello il ricordo del poeta Biagio Marin riportato da “Sussurri delle Cube”: “Le adiacenze del porto erano nere di gente. E puro era il cielo primaverile, e giovane e ridente il nuovo sole. Perfino nelle pietre dei moli c’era un tepore che commoveva, e l’acqua del porto aveva un intimo tremore di gioia.
Ad un certo momento cominciarono a tonare i petardi.   Era in arrivo.   La gente ondeggiava sulle rive come un campo di grano sotto il maestrale. La processione s’affacciò sul canale che veniva dalla terraferma.   Tutti gli occhi erano là in fondo. Ed ecco il corteo imboccare il canale del porto. Anche io ero tra la mia gente, col cuore in tumulto.   Ecco sfilare nel sole alto e nella romba solenne dei motori, la barca che portava assiso in trono, il giovane arciprete.   Era tutto vestito di viola; aveva, appesa a una collana d’oro, la croce pettorale come un vescovo, e un’aria assorta e commossa, quasi di vittima sacra.
I miei occhi si velarono, e quasi inconsapevolmente dissi: “Benedictus qui venit in nomine Domini”.   Non era facile venire tra noi, nel nome del Signore.   Quella massa nera di gente che sotto il sole osannava, era come il suo mare, che cambia facilmente di umore.   Pareva che volessero buttarli ai piedi le loro anime. Ma incerta è la nostra capacità di devozione; ma dubbia la nostra capacità di farci cavi per accogliere la Parola e incarnarla nella quotidianità.   Guardavo al nobile viso, pallido di commozione dell’arciprete“.
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Ecco monsignor Fain con Biagio Marin nella casa del poeta a Grado;
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il giovane parroco con un gruppo di bambini negli anni Sessanta.
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Come è facile capire, “Biaseto” non era ottimista sull’inserimento di monsignor Fain, uomo di entroterra – arrivava da Cormons dove era nato il 19 (stesso giorno della morte!) giugno 1921 – destinato a 37 anni a un paese di mare, all’epoca per lo più di pescatori, anzi a un’isola con una sua storia, cultura, costumi e tradizioni, una sua mentalità, un suo dialetto che non ha niente a che fare con la lingua friulana parlata appunto sulle colline.   Eppure don Silvano si seppe integrare rapidamente, diventando “gradese tra i gradesi” – sono parole dell’arcivescovo Antonio Vitale Bommarco, durante i solenni funerali – dei quali sposò anche l’aspirazione di sviluppo cui la cittadina tendeva, divenendo oltre che un instancabile pastore – tant’è che è ricordato ancora con affetto e gratitudine da chi ha una certa età – anche un convinto sostenitore della crescita del turismo, soprattutto di carattere religioso, nel quale primeggia, come tutti sanno, il “Perdon de Barbana”.   Un appuntamento, quello della prima domenica di luglio, che monsignor Fain viveva con particolare intensità, senza trascurare però gli altri momenti importanti che scandiscono l’anno liturgico calato nella tradizione “graisana”, nelle sue melodie patriarchine che affondano le radici nell’epoca in cui Sant’Eufemia era una cattedrale. Perché suo titolare era un patriarca e quindi un vescovo – e monsignor Fain aveva il privilegio, proprio in virtù di quel passato, di poter indossare la mitra episcopale oltre alla consueta berretta violacea che porta anche l’attuale arciprete -, tanto che ancora oggi avvengono le nomine dei presuli con il titolo di “Vescovo di Grado”.   E poi un particolare che mi piace ricordare soprattutto per i turisti: quella “Madonnina del Mare” che cantano con trasporto e  che applaudono ogni domenica alla fine della messa solenne fu introdotta proprio dal sacerdote cormonese, perché, come tanti sapranno, il suggestivo canto non appartiene alla tradizione locale, in quanto proviene dal Salento.   Ma grazie proprio all’intuito di don Silvano è stato “adottato”, divenendo alla fine gradese – anche se le parole non sono in vernacolo -, pressoché irrinunciabile alla fine dei riti principali.
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Tre immagini di monsignor Fain con la mitra durante solenni celebrazioni e infine alla tradizionale processione votiva del “Perdon de Barbana”.
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Un lunghissimo apostolato, insomma, quello di monsignor Silvano Fain e che sarebbe sicuramente continuato ancora, nonostante l’ormai avanzata età, se non fosse stato strappato così improvvisamente alla sua amata gente isolana.   Ma pure di tanti ospiti che tornano ogni anno o anche più spesso a Grado e che, per il tempo che vi soggiornano, ne vivono anche le tradizioni cristiane.
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In copertina, monsignor Silvano Fain, ormai anziano: morì il 19 settembre 1998.
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